mercoledì 26 giugno 2013

Deerhunter - Monomania (2013, 4AD)


L'inquinamento acustico è un problema serio. Almeno lo penso. Penso anche che non posso odiare Vasco Rossi, per la sua "arte", infondo ha creato un personaggio che nella cultura di massa mancava: il rocker da bar. Quello che sogna di fuggire dalla provincia, ma ne è lo stereotipo fulminante. Vasco Rossi rimane nella mia mente come il tipo che è stato al carcere di Rocca Costanza a Pesaro per 22 giorni per detenzione di coca, quello che ha fatto una cover di Living After Midnight dei Judas Priest, quello che canta con Benigni in F.F.S.S. sui titoli di coda (in realtà non s'è mai capito se è veramente lui è uno degli arabi). Poi sono arrivati gli anni '90, e la figura del rocker provinciale viene smorzata in quella del rocker di successo: e giù con gli stadi pieni, la beatificazione a icona commerciale, in sostanza, inflazionare il valore culturale del Blasco per sopravvalutare l'aspetto economico. La macchina da concerti non ha più nulla da dire. I suoi fans non ce l'avranno mai. Un marea trasversale di generazioni completamente incongruenti. Un flusso costante di pubblico in completa venerazione verso il nulla. Il concetto spiazzante di rock.

L'ultima data del mini tour estivo ha coinciso con la prima delle due date dei Deerhunter in Italia. Nella stessa città. Bradford Cox parrucca in testa dice di prestare attenzione che c'è qualcosa di nuovo nel live (non ho capito se la formazione o una nuova chitarra) e che se il suono è troppo loud la soluzione è quella di ammassarsi il più possibile verso il palco in modo da creare una sorta di scudo umano. Di Monomania non parlerò. Nemmeno di Monomania dal vivo. Non ha senso (cosa pretendi dopo 
Microcastle Halcyon Digest): è un disco che è uscito come pretesto per andare in tour, avere qualcosa da promuovere e suonare Blue Milk dei Stereolab, ammettendo pubblicamente da avere un debito da saldare, e suonare Memory Boy annunciandola come Nothing Ever Happened, o tenersi addosso per l'intero concerto una parrucca tipo taglio actual-brit (frangettone coprente davanti, capello corto dietro). E comunque riassumo il concerto con la parola: potente


giovedì 20 giugno 2013

Jon Hopkins - Immunity (2013, Domino)

Non mi fido mai di nessuno. Invece devo iniziare a fidarmi della gente. Prendi il paki sotto casa. Per tre anni non c’ho mai comprato niente, la frutta la prendevo sempre alla Coop, e quelle poche volte che sono andato dal paki mi divertivo come un matto perché si sbagliava a darmi il resto: quando accadeva, me ne andavo via con un risolino in bocca veramente ebete. Ora però mi fido. Ogni settimana scendo e compro. Ha dei meloni buonissimi, ad esempio. Certo, a volte ha delle zucchine che sembravano di fango, ma ormai mi sto affezionando a lui, e, anche se è difficile da credere, anche a lui a me. Oggi mi ha regalato un limone. Un giorno, fuori nevicava violentemente e l’unico negozio vicino a casa con derrate alimentare ancora disponibili era il suo, e ci sono andato a fare la spesa, cioè non mi sono limitato all'acquisto di frutta e verdura, ma ho anche comprato la passata di pomodoro, dei strani würstel di una qualche sottomarca di pile cinesi, e un latte in una confezione di cartone che definire anonima era riduttivo. Quella volta m’ha fregato lui: ho speso tre euro per una passata. A volte mi pento per l’eccesso di fiducia che ripongo nell’amico venditore di frutta. Ma tutto sommato è un bel rapporto.

Con Jon Hopkins ho fatto il percorso opposto, mi sono subito fidato. Sarà che la prima volta che l’ho sentito mi ha fatto vedere i raggi laser, quelli di Open Eye Signal. Ma forse mi sono sbagliato. La sensazione che ho provato è quella di andare a casa di un tuo amico con il quale non hai troppa confidenza: ti accomodi sul divano, ti vengono offerti dei cioccolatini, ti senti a tuo agio. Si parla per delle ore, ma alla fine ti accorgi di non aver toccato alcun argomento. Non ti sei veramente divertito. Al massimo hai mostrato di divertirti.

La frase per chiudere questo post è:
se Parigi avesse il mare sarebbe una piccola Bari.

lunedì 10 giugno 2013

Koreless - Yugen (2013, Young Turks)

Ho fatto tutte le operazioni che andavano fatte: ho messo le quattro frecce, ho piazzato il triangolo alla distanza richiesta dal codice della strada, ho indossato il giubbotto catarifrangente. Ho chiamato il soccorso stradale. Mi hanno detto che ci mettevano almeno un’ora ad arrivare, e di mettermi pure comodo ad aspettare. “Comodo? Sono su una strada provinciale completamente deserta… sono quasi le 4 di mattina…”. Mi hanno detto che volavano da me, volavano. Mi sono detto che non era l’occasione per adirarsi. Mi sono detto che dovevo calmarmi. Mi sono seduto sul cofano della macchina. Il cielo era perfettamente chiaro, si riuscivano a vedere parecchie costellazioni, non che me ne fregasse qualcosa. Ogni tanto buttavo un’occhiata al bosco sulla mia destra. Non distinguevo alcuna forma, ero un po’ terrorizzato da questo, ma mi ero imposto di stare calmo, quindi in qualsiasi modo dovevo esserlo. Noncurante della chiazza di olio proveniente dalla mia macchina, entro nell’abitacolo, giro la chiave e accendo la radio. La cosa che apprezzo di più dei film di Carpenter è l’utilizzo della colonna sonora, riesce sempre a creare un climax di terrore e di distensione perfettamente amalgamato alle immagini ed incredibilmente coerente al plot narrativo. La mia preferita è quella di Morricone per La Cosa. Mi domando nell’oscurità desolata della strada provinciale se mai nessuna emittente potrai mai passare il tema de La Cosa. Invece dallo stereo dell’auto arriva un suono ovattato e leggermente disturbato, quello della pubblicità di una pizzeria che garantisce una pizza veramente napoletana, ampio parcheggio e il venerdì un evento speciale che francamente faccio fatica a capire in cosa consista. L’etere si riempie delle onde sonore gracchianti della radio. Me ne farò una ragione di questa attesa. Aspetterò.

domenica 2 giugno 2013

Co La - Moody Coup (2013, Software)

I miei vicini di casa sono preoccupanti. Soprattutto quello con la stempiatura pronunciata. Poraccio, c’avrà neanche trent'anni e già è mezzo calvo. La domenica pomeriggio dopo il pranzo si mettono a parlare sul balcone. Vanno fuori a parlare e lasciano la televisione accesa. Li sopporto solo nei giorni lavorativi, nei feriali li vorrei vedere morti. Per non sentire i loro discorsi ho comprato un paio di Sennheiser. Ci ascolto musica. Mi stendo sul letto e ascolto. In genere il sabato sera mi sbronzo pesantemente, e mi sveglio quando il vicino stempiato esce con i suoi genitori sul balcone. Sempre in quell’istante. Aprono la porta finestra, mentre io apro gli occhi. Non so che lavoro faccia lo stempiato, forse si chiama Claudio. Non mi interessa. Voglio solo dormire e ascoltare musica nella penombra della mia stanza da letto la domenica pomeriggio. Co La. Moody Coup. 2013 Software. Il mal di testa viene a farmi compagnia verso le due e tre quarti. Un quarto d’ora prima è arrivato il sole a sbattere la sua potenza primaverile sulle tapparelle della camera. Ascolto. Mi domando che senso abbia la domenica pomeriggio nella vita. Altro non è che un lasso temporale orizzontale privo di scopo. Immagino giungle e fiori, vedo scontri in piazza con manifestanti sanguinanti, vengo proiettato sulle piste da corsa di qualche videogame ultra futurista, immagino la nebbia equatoriale, i fenicotteri sul davanzale, le rose, i contrasti tra i colori accesi, i colori pastello, i raggi laser, le auto in coda al casello, gli elicotteri, le vincite al superenalotto, il montepremi che per un istante sogno avere le sembianze di una montagna alpina. Arrivo alla conclusione che la domenica pomeriggio è fatta per porsi la domanda “che senso ha la domenica pomeriggio?”. E la risposta la conosce sempre il tuo vicino di casa.